Pre-morte esperienze, NDE near-death experience | |
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Esperienze di pre-morte (NDE – Near Death Experience)
Mary (prima parte): MORTE SUL FIUME
Nel 1999, durante una vacanza nella regione de Los Rios in Cile, Mary(ortopedico e neurochirurgo) precipita con il kajak da una cascata e viene risucchiata sott’acqua. Nonostante tutti gli sforzi dei compagni per salvarla, rimane immersa troppo a lungo. Ma non è la fine: Mary ha modo di sperimentare la vita ultraterrena, la pace e la gioia degli angeli, prova cosa sia l’amore incondizionato di Dio. Torna a raccontarlo, investita di una missione: quella di riportare con la sua testimonianza fede e speranza in questo mondo. Ecco una parte del suo racconto : La corrente era forte, e mi strappò il casco e il giubbotto prima di provare a trascinare via il mio corpo. Ero seduta nella canoa con le gambe tese davanti a me, mentre dalla vita in su ero piegata in avanti, con il busto e le braccia distesi sopra la prua, schiacciati dall’impeto dall’acqua. Ero rivolta verso valle e, mentre la corrente tentava di trascinarmi via, ero costretta a restare curva sulla parte anteriore del Pozzetto. Per i fianchi questa posizione non era un problema, mentre le ginocchia erano costrette a ripiegarsi su loro stesse in modo del tutto innaturale. Si trattava di un processo relativamente lento, durante il quale io rimasi cosciente, consapevole di ciò che mi stava accadendo. Potrà sembrare un po’ morboso ma, da un punto di vista ortopedico, l’idea di avere le ossa del ginocchio rotti e i legamenti strappati mi affascinava. Provai ad analizzare le sensazioni e a capire quali strutture anatomiche fossero coinvolte. Mi sembrava di non sentire dolore, ma mi domandai se in realtà non stessi gridando senza accorgermene. Feci un rapido esame e decisi che no, non stavo gridando, e che non avvertivo alcun dolore. Mi sentii stranamente felice: una sensazione impressionante, dal momento che l’idea di annegare mi ha sempre spaventato a morte. Mentre il mio corpo veniva lentamente risucchiato fuori, sentii come se anche la mia anima lo stesse a poco a poco abbandonando. Finalmente percepì le membra liberarsi dalla canoa e scivolare via trasportate dalla corrente. Quella fu l’ultima sensazione fisica che provai. Non ricordo di aver toccato il fondale del fiume, di essere rimbalzata e di essere stata trascinata a riva. Nel momento in cui il
mio corpo si disincaglio e iniziò a essere trascinato dalla
corrente, sentii uno scoppio. Era come se mi fossi finalmente
scrollata di dosso il pesante strato esterno che mi ricopriva,
liberando la mia anima che iniziò a salire verso l’alto,
fuori dal fiume. Irrompendo dalla superficie dell’acqua,
incontrai un gruppo di 15 20 anime, spiriti umani inviati da Dio,
che mi accolsero con la gioia più irrefrenabile che io
abbia mai visto e che potessi mai immaginare. Era una gioia pura
ed essenziale. Era una sorta di grande comitato di accoglienza o
di enorme folla di testimoni. Comprendevo che erano
stati inviati per guidarmi attraverso quel passaggio di tempo e
dimensione che separa il nostro mondo da quello di Dio. Capii
anche l’implicito accordo, secondo cui non eravamo stati
mandati solo per salutarmi e per guidarmi, ma anche per
proteggermi durante il viaggio. Mi apparvero come forme distinte,
ma i loro tratti non erano definiti i chiari come quelli dei corpi
che abbiamo sulla terra. I loro contorni erano nebulosi, perché
ogni essere spirituale era radioso e abbagliante. La loro presenza
aveva travolto tutti i miei sensi, come se li potessi allo stesso
tempo vedere, udire, sentire, odorare e gustare. Il loro splendore
da una parte era accecante e, dall’altra, rinvigorente. Il
nostro non era un vero e proprio interloquire, ma una
comunicazione che avveniva in forma molto più pura.
Esprimevamo contemporaneamente i nostri pensieri e le nostre
emozioni, e ci capivamo alla perfezione anche se non usavamo la
voce. La parola di Dio non si limita certo a un unico linguaggio,
e questa constatazione mi arricchì di una nuova
comprensione della Pentecoste. Dio non ha bisogno di un linguaggio
verbale per comunicare. Mentre gioivo di tutta
quella bellezza, intravidi di nuovo la scena in riva al fiume. Il
mio corpo sembrava il guscio accogliente che aveva ospitato una
vecchia amica, e mi sentivo piena di compassione e di gratitudine
per come mi aveva servito. Stavamo percorrendo una strada che portava a una stanza enorme e luminosa, più ampia e più bella di qualsiasi altra cosa io possa immaginare sulla terra. Risplendeva meravigliosamente dei colori più brillanti. Credo che quando le persone che si sono trovati in fin di vita raccontano di avere visto una luce bianca o di essersi mossi verso una luce bianca, stiano descrivendo il loro avvicinamento a questa sala splendente. È solo nel nostro vocabolario non è abbastanza ricco per rendere un’esperienza simile in modo comprensibile. Forse è per questo che Gesù spesso si esprimeva con le parabole. Percepii che la mia anima veniva attratta verso l’ingresso e, mentre mi avvicinavo, mi lasciai avvolgere da quell’immenso chiarore, percependo l’amore assoluto, puro, completo e del tutto incondizionato di quella sala irradiava. Non avevo mai visto né sperimentato niente di più bello e seducente. Ero assolutamente certa che rappresentasse l’ultimo passo della vita, la porta che ogni essere umano deve attraversare. Era chiaro che quella sala fosse il luogo in cui ognuno di noi ha l’opportunità di rivedere la propria vita e le proprie scelte, e dove a ciascuno è data l’ultima possibilità per scegliere Dio o allontanarsene definitivamente, per l’eternità. Mi sentivo pronta a
entrare nella sala e mi riempiva il desiderio profondo di
ricongiungermi a Dio. Ma tra noi si frapponeva un ostacolo: Tom e
i suoi ragazzi continuavano a chiamarmi. Ogni volta che mi
imploravano di tornare e di fare un respiro, mi sentivo obbligata
ad accontentarli prima di riprendere il mio viaggio. Stava
diventando noioso, e i loro appelli ripetuti mi irritavano sempre
di più. Sapevo che non capivano cosa stesse succedendo, ma
ero infastidita dal fatto che non mi lasciassero andare. A quel punto sui miei compagni spirituali scese un senso opprimente di dolore e di tristezza e l’atmosfera si fece pesante. Si voltarono verso me e mi spiegarono che non era ancora giunto il mio momento: non avevo completato il mio viaggio sulla terra, avevo dell’altro lavoro da fare e dovevo rientrare nel mio corpo. Protestai, ma mi vennero spiegati i diversi motivi per cui dovevo tornare e mi fu detto che avrei ricevuto presto nuove informazioni. Mentre mi riaccompagnarono sulla riva del fiume, condividemmo il nostro dispiacere. Mi misi a sedere sopra il mio corpo e, prima di sdraiarmi e ricongiungermi con esso, rivolsi a quegli esseri celesti, a quelle persone che erano venute a guidarmi, proteggermi e incoraggiarmi, un ultimo sguardo carico di nostalgia. (Mary C.Neal- In paradiso e ritorno)
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